Un aneddoto molto curioso accompagna Dell’odio e dell’innocenza, il nuovo disco di Paolo Benvegnù, uscito il 6 marzo scorso per Black Candy Records.
Pare che il cantautore lombardo abbia trovato un giorno una busta anonima nella sua buca delle lettere. Era una demo voce e chitarra che conteneva, cantante di seguito, tutte le tracce del disco. Era indicato solo il titolo – che poi è rimasto – Dell’odio e dell’innocenza, e poi nessuna spiegazione o indizio sul mittente.
Paolo Benvegnù racconta di averlo interpretato come un segno. Sentiva di dover dare un vestito a quelle canzoni, portarle alla luce, perché il misterioso autore aveva qualcosa da comunicare, e voleva farlo attraverso la sua voce.
La storia è talmente romantica che ha dell’incredibile, ma del resto, spesso la realtà supera la fantasia. Liberi di crederci o no, Paolo Benvegnù ci ha consegnato, ancora una volta, un album molto valido, che ribadisce la dote di sapere veicolare una grande sensibilità. Dell’odio e dell’innocenza, dunque è una conferma, ma contemporaneamente si colloca in un solco diverso dai lavori precedenti per molte, significative sfumature.
Era chiaro dall’inizio che questa non sarebbe stata una prova come le altre: arriva al termine dei tre album che compongono la cosiddetta “Trilogia dell’H”, che il cantautore aveva inaugurato ne 2011 con Hermann e proseguito con Eart Hotel nel 2014 e H3+ nel 2017. I tre dischi, tutti molto densi, sospesi tra l’onirico ed il terreno, avevano portato alla sublimazione le ben note capacità di scrittura di Benvegnù e avevano tarato al meglio l’identità stilistica della sua musica, da sempre molto riconoscibile.
Dell’odio e dell’innocenza, pur restando fedele alla personalità del cantautore e al suo immaginario artistico apre una nuova pagina, dove emerge uno sguardo molto più concreto e tangibile verso la realtà ed il presente. Paolo Benvegnù sembra essersi risvegliato da una levitazione mistica per tornare con i piedi ben attaccati al suolo. Lo si nota dai testi, più diretti e personali, quasi prosastici, rispetto all’immaginario lirico a cui si era sempre affidato, soprattutto nella trilogia.
Ciò potrebbe spiegarsi con l’aneddoto della demo ritrovata, che spiegherebbe anche la nuova gamma di emozioni che traspare dalle canzoni, come una certa rabbia, che era arrivata forte e chiaro da Pietre, il singolo di lancio, e si ritrova in alcune tracce, come Infinito 1. Gli animali di superficie, Infinito 3 e Nelle stelle sono le canzone dove la “collaborazione” tra Benvegnù ed il segreto autore raggiunge le vette più alte, in cui si raggiunge l’equilibrio tra la schiettezza delle parole e la limpidezza del suono.
Chiudono il disco Non torniamo più, che sembra raccogliere e reinterpretare la tradizione cantautorale italiana, e Infinitoalessandrofiori, una ballata minimale eseguita con grande intensità: due canzoni che chiudono in modo più introspettivo e forse anche speranzoso un disco che, senza la grazia innata di Paolo Benvegnù e la sua indole riflessiva sarebbe suonato decisamente aggressivo.
A differenza dei precedenti lavori, Dell’Odio e dell’Innocenza, è figlio del “qui” ed “ora”, nato da un’urgenza comunicativa che non lascia spazio a riflessioni più ponderate, e che riporta ad alcuni episodi più “muscolari” di Hermann. Stavolta però Paolo Benvegnù si toglie le mani dagli occhi e guarda in faccia il presente per scrutarlo. Il ritratto è lucido e tracciato con grande maestria, ma forse, ci lascia con un po’ di nostalgia verso l’atmosfera siderale nel quale ci avevano portato i suoi dischi precedenti.
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