El Pintor (che più che lo spagnolo per “il pittore” vuole essere l’anagramma di Interpol) arriva dopo quattro anni di silenzio dall’omonimo disco della band, Interpol, che aveva lasciato i fan tiepidini e fatto spazio alle malelingue sulla loro probabile fine.
In effetti dopo aver esordito col proverbiale “botto”, tenere l’asticella sempre più alta è una sfida che solo pochissimi gruppi reggono. Il loro primo album, Turn On The Bright Lights, nel 2002 diede un bello scossone alla scena rock di quei tempi, di cui gli Interpol erano gli alfieri più illustri. Al primo disco ne sono seguiti altri quattro (compreso El Pintor) in più di dieci anni, e ad onor del vero soltanto il secondo, Antics, trainato da singoli storici come Evil e C’mere, ha soddisfatto appieno le aspettative e tagliato qualche lingua lunga.
Paul Banks e soci, al termine di questi ultimi quattro anni burrascosi nei quali hanno affrontato momenti difficili (il bassista Carlos Denger ha abbandonato il gruppo e un amico caro della band è venuto a mancare), promettevano che El Pintor avrebbe segnato il ritorno agli antichi fasti. All The Rage Back Home, il singolo di anticipazione, è di fatto un bel pugno nello stomaco, potente e coinvolgente.
Il resto dell’album scorre che è un piacere. Ed è proprio questo il punto. La band newyorkese certo resta fedele al proprio sound e mantiene la promessa: El Pintor è aggressivo, vigoroso, si sente il tentativo di arrangiamenti corposi. Ma forse le aspettative erano troppe perchè si possa gridare al successore ideale di Turn On The Bright Lights.
Tra i pezzi degni di nota vale la pena segnalare My Blue Supreme ed Everything is Wrong, nelle quali, se non altro, si sente un’evoluzione (un po’ troppo ridondante?) negli arrangiamenti rispetto al solito.
Tidal Wave (potenziale singolo) e Twice As Hard – col contributo agli archi di Rob Moose dei Bon Iver – chiudono il disco riassumendo perfettamente le intenzioni e il mood dell’album, cupo, grintoso e rimuginato. I testi sono rabbiosi e sofferti e parlano di amore e di solitudine, come Paul Banks, abilissimo a incastonare parole in musica, ci ha da sempre abituati.
Insomma lo abbiamo capito, gli Interpol non sono più i rappresentanti del futuro della musica, come lo erano dodici anni fa, ma restano comunque fedeli a loro stessi, e questo piace a chi li ama. Forse, in questi tempi di improbabili sperimentazioni, sapere esattamente cosa c’è da aspettarsi da una determinata band, può essere perfino rassicurante.
Rispondi