St. Vincent sceglie il suo nome d’arte per titolare il suo quarto lavoro in studio.
L’affascinante polistrumentista americana, nota all’anagrafe come Annie Clark, per l’occasione tinge la sua chioma di biondo platino e consegna al pubblico undici tracce di grande ricercatezza.
Anticipato da ben tre singoli, Birth in Reverse, Digital Witness e Prince Johnny, lanciati a raffica in poco meno di tre mesi, St. Vincent è uscito il 25 febbraio 2014 per la Loma Vista.
Non la prenda come un’offesa Annie Clark, se fin dal primo ascolto si sente subito l’influenza della lunga collaborazione col suo amico e mentore David Byrne.
In particolare Digital Witness sembrerebbe essere uscito direttamente da Love This Giant, l’album che St. Vincent ha realizzato a quattro mani con l’ex Talking Head nel 2012, e col quale ha continuato a collaborare in un tour mondiale e in un gioiellino di Ep, Brass Tactics.
In St. Vincent si sentono chiaramente il sound e le tematiche mutuate dall’esperienza di Love This Giant, ma declinate nella personale visione di Annie, onirica e digitale.
La sonorità del disco sembra un compendio del percorso musicale di Annie Clark fino ad oggi, il palinsesto di una carriera cominciata nel gruppo sinfonico Polyphonic Spree nel 1999 e continuata da solista con un susseguirsi di album e featuring sempre più degni di nota. Ed è probabilmente per questo motivo che ha deciso di intitolarlo a se stessa.
Si sentono richiami alle atmosfere soffuse di Strange Mercy, il disco della consacrazione, come nella ballata di chiusura Severed Crossed Fingers e in Prince Johnny. Ci sono ritornelli orecchiabili che ci trasportano a ritmo di drum machine in ambientazioni multicolor, quelle di Rattlesnake e Psycopath.
Ma St. Vincent è molto più di questo. Annie Clark sfodera la spada contro chi l’aveva in questi anni data musicalmente per stantia e dimostra quanto abbia saputo apprendere e maturare in questo periodo in cui il suo nome è stato legato principalmente a quello di altri. Il risultato è un disco ben bilanciato, in equilibrio tra l’incessante voglia di sperimentare e la capacità di creare ritmi “cacthy” e melodie pop. Il tutto senza dimenticare l’importanza dei testi, altrettanto densi e particolari quanto la componente musicale.
La vasta esperienza di artista e la sua vena un po’ folle la consacrano sul trono nel quale siede, fiera e beffarda, sulla copertina dell’album, capace di ammaliare chiunque col carisma della sua musica, a metà tra icona pop e manifesto d’élite.
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