Dopo il periodo di pausa in cui i tre pisani Appino, Karim Qqru e Ufo hanno coltivato (con ottimi risultati) i loro progetti solisti, il Circo Zen si riunisce ancora per Canzoni contro la natura, ottavo album in studio, uscito il 21 gennaio 2014 per La Tempesta Dischi.
Dedicarsi ad altro per un po’ ha fatto loro bene, perché dalle prime note si sente immediatamente che il tipico stile del gruppo si è arricchito ed è migliorato, soprattutto musicalmente.
Le dieci tracce sono un continuo cambio di prospettiva tra il “dentro” e il “fuori”. “Dentro” siamo noi, “diventati brutti” e vacui. Il “fuori” è la Natura, contro cui manifesta il disco.
Viva e Postumia i singoli estratti, aprono le danze e presentano i “nuovi” Zen Circus segnando, involontariamente, l’evoluzione rispetto ai lavori precedenti.
Dall’“Aperitivo è bere, ribere e vomitare” dei Vecchi senza esperienza del 2009, ci ritroviamo al bar di via Postumia, più tristi e consapevoli di tanto tempo fa. Il pessimismo con l’età guadagna disincanto e rassegnazione, ma non per questo perde il guizzo rabbioso, come un animale ingabbiato. Ascoltando Viva, invece, è impossibile non vederci riflessi nello schermo del computer, mentre creiamo la nostra vita sui social network. Sebbene questo non sia un tema esplicito dell’album, il parallelismo è automatico quando Appino urla “Di cosa ridete?/di cosa urlate?/ Perchè festeggiate?/Ancora l’estate?/Di cosa ballate?/Di cosa vi fate?/ Tutti viva qualcosa/ Sempre viva qualcosa”.
In Canzone contro la natura uno scenario apocalittico presenta l’umanità sopraffatta dalla Natura, cattiva matrigna che ci rigetta e ci disprezza per esserle così distanti. La voce di Ungaretti, tratta dall’inconfidibile Comizi d’amore di Pasolini, spiega questo conflitto come “naturale e chiude poeticamente il pezzo lanciando una riflessione: è davvero la natura terrestre che deve spaventarci? O è piuttosto la nostra natura di uomini?
Albero di Tiglio è lo spartiacque. Sembra un brano da conclusione per la durata e la lunga coda, ed è il più intenso. E’ un’appassionata declinazione del tema: una lettera di Dio alla razza umana, impietosa e tagliente, che sveglia le coscienze come uno schiaffo e rivela una tremenda verità: “Il potere ha il male integrato/E poi il bene è un’idea vostra/Frutto solo della vostra ignoranza”.
Non mancano le ballate: Dalì, folk orecchiabile, racconta di un personaggio che incarna la più meschina delle condizioni umane; L’anarchico e il generale, invece, rispecchia la tradizione italiana, con l’armonica e la chitarra che ricordano De Andrè.
Mi son ritrovato vivo colpisce per la sua sincerità. E’ forse la canzone più personale, e quella che rappresenta meglio il tipico stile degli Zen insieme a No Way, inno a squarciagola sull’indipendenza del pensiero.
Chiude il cerchio Sestri Levante. Un commiato rassegnato, un amaro tirare le somme. Alla fine, è questa la nostra “natura”: pavidi e meschini, capaci di improvvisi scatti di vita ma senza distaccarci fino in fondo da quello che siamo, per pigrizia o per paura, chissà. Ed è questa la morale: “La natura ha leggi marziali/Lo spritz Campari invece no”.
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