Le canzoni di presunta innocenza si aprono con The Miracle (of Joey Ramone), che non lascia presagire nulla di buono. Tanto invece del buon vecchio Bono, che rimane essenzialmente ostaggio dei suoi toni alti e dei cori orecchiabili di Every breaking wave, seconda traccia di Songs of Innocence che sembra avere più pretese da classifica o come pezzo forte per un concerto in uno stadio che da futuro classico. Più interessante l’intro di California, terza traccia del disco, che parte con una campana a morto e una sezione di cori perfettamente lavorata a livello di produzione. Peccato che non ci metta molto a perdersi negli stilemi di una canzone quasi garage rock. Trattasi sempre della stessa formula: power chords che si aprono nel ritornello e batterie così chiuse e compresse che si sentono a stento. Ovviamente, trattandosi degli U2, il tutto è impreziosito da sezioni di sintetizzatore che danno alla canzone quel tocco di sinfonico che danno agli U2 la dignità degli U2 e non di uno sparuto gruppetto di ragazzini brufolosi di provincia.
Il disco procede con Iris (Hold me Close), in cui sia Edge che il produttore ritrovano un po’ di sé stessi: il primo con il suo classico suono perfettamente effettato con la giusta quantità di delay, il secondo riuscendo a dare quell’areosità al mix che ha contraddistinto i dischi precedenti e -finalmente- un po’ di volume a quella batteria così bistrattata nelle canzoni precedenti. Finalmente anche il basso entra in gioco con un ruolo centrale in Volcano, anche se il pezzo in sé trascorre senza particolari degni di nota. Si osa invece di più, nonostante i soliti power chords di Edge, con un pizzico di pianoforte in Raised by Wolves e una incursione finale in una specie di cross-over in cui gli U2 incontrano (forse per caso) gli Incubus. Tranquillizziamo gli amanti degli Incubus: l’incursione dura solo pochi secondi e il genere è salvo. Bel momento quello rappresentato dall’energica Cedarwood Road, in cui strumenti elettrici ed acustici si fondono alla perfezione, facendo da cornice agli infelici ricordi infantili dei dubliners più famosi del mondo (dopo Joyce, s’intende) in cui le strade erano troppo spesso intrise di sangue. Segue senza infamia e senza lode Sleep Like a Baby Tonight, che lascia presto spazio a “this is where you can reach me now“, canzone con ottime chitarre acustiche e dedicata a Joe Strummer. A chiudere il disco è The Troubles canzone dall’intro apocalittica e che non a caso è stata utilizzata per la serie The Walking Dead. The troubles si contraddistingue dal resto del disco per una fantastica Lykke Li, che per beffarda ironia della sorte in alcuni punti della canzone ricorda pure Demon Days, track conclusiva dell’omonimo capolavoro dei Gorillaz.
E ciò che è peggio è che -stando all’innocenza infantile e l’esperienza dell’età adulta di William Blake, le cui raccolte poetiche danno il titolo a questo lavoro degli U2- c’è da aspettarsi un reprise (Songs of Experience, per l’appunto), per il 2016. Da un disco intitolato “Songs of innocence” c’era da aspettarsi, se non una raccolta di nursery rhymes, quantomeno una musica genuina e spontanea. Ci si è trovati invece davanti un disco scritto a tavolino. Di innocenza poi neanche a parlarne, visto che è uscito al grande pubblico nel 2014 a seguito di un accordo milionario con la Apple come omaggio digitale agli acquirenti di IPod. E se questa è innocenza infantile, chissà quali malizie ci riserverà l’esperienza dell’età adulta.
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