Come annunciato, il 9 luglio è uscito Hunter of Invisible Game, il corto di Bruce Springsteen. L’evento ha rappresentato una prima volta storica per la carriera del cantautore del New Jersey, che è stato sia regista che protagonista del filmato.
Springsteen mai si era cimentato direttamente nel lavoro di regista, benché, va osservato, molto spesso ci era andato vicino. Non è un segreto infatti, per i fan e per chi conosce la discografia di Springsteen, il rapporto che lega la sua musica al cinema americano.
Ci sono parole, canzoni, interi dischi del suo repertorio che potrebbe essero portati ad esempio: valga uno su tutti, per titolo e per tema, la canzone The Ghost of Tom Joad , tratta dall’omonimo album del 1995, che ricorda il western di John Ford Furore che a sua volta si rifà a The Grapes of Wrath di John Steinbeck. E anche in questo corto il Boss non ha smentito se stesso, visto che, come nelle sue canzoni, anche qui viene presentato un mondo, l’America profonda, e una figura, un uomo solitario, molto presenti nelle sue melodie.
La trama è in tal senso esemplare: un uomo solo, pieno di rimorsi, decide di affrontare metaforicamente i suoi demoni e di partire per provare a ricomporre la sua esistenza. Attraverso il contrasto tra la luce del calore familiare vagheggiato e l’oscurità di una sofferenza che vuole cancellare, il nostro uomo riesce ad affrontare il suo passato, anche se si scontra col fatto di non avere più la possibilità di modificarlo.
Sembrerebbe tutto perduto, se non fosse che una nuova occasione si ripresenta, e questa volta non per ricucire il passato, ma per riscattare il suo presente. Il nostro eroe – che poi eroe non è, ma, come spesso accade nelle storie di Springsteen, si tratta di un uomo disilluso e ferito – ritrova la propria strada compiendo un atto di altruismo, il soccorso a un bambino smarrito, che gli regala la serenità da lui cercata.
Ad accompagnare questo racconto ci sono una serie di immagini che ricordano i tipici paesaggi dell’America profonda, quelli dei film western alla John Ford, dove immense pianure, ruscelli e uomini intorno al fuoco esprimono l’essenza della comunità americana, lo spirito di solidarietà e l’affinità dei destini. Ed è proprio al regista John Ford e al suo indimenticabile film Sentieri Selvaggi che Springsteen a un certo punto si ispira. Nel modo in cui il protagonista si allontana a cavallo, una volta accompagnato a casa il ragazzino che si era smarrito, non si può non riconoscere il finale del film di Ford, quando John Wayne, di ritorno da un’impresa simile, sosta sulla veranda della famiglia che ha aiutato. Il medesimo bagliore bianco, il medesimo taglio dell’inquadratura, la medesima distanza dei protagonisti dalla casa: tutto concorre a rendere evidente questa citazione.
Rispondi